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Greenland Inlandsis

GUIDE / GROENLANDIA

Inlandsis: Alla Scoperta della Calotta Polare Artica | Diari della Groenlandia

Fino a pochi giorni prima non avevo mai sentito parlare di Narsarsuaq.

Non ne sapevo l’esistenza e, seppur questa fosse stata a me nota, non avrei saputo minimamente immaginarne la posizione su una carta geografica. Eppure ero su un Boeing 737 che stava sorvolando le isole Fær Øer e che era diretto proprio a Narsarsuaq.

PROLOGO

Venivo da un periodo intenso, sia dal punto di vista personale che professionale, dove ero stato chiamato a ristabilire e sovvertire completamente tutte quelle che erano le mie priorità e le mie abitudini.

La portata del torrente degli eventi era stata talmente vasta da farmi perdere di vista perfino il punto fermo del viaggiare, dall’inverno mi ero ritrovato al riscoprirmi in piena estate senza aver cognizione del tempo trascorso nel mezzo, passato troppo velocemente, troppo ferocemente.

Serviva Il Viaggio. Serviva continuare a spingersi verso la ricerca ossessiva dell’ennesima frontiera, dell’ennesimo confine da superare. Ma non sapevo dove. Nonostante scrutassi attentamente le rotte sul planisfero politico come un generale di un esercito che si sta preparando a una battaglia, niente riusciva a solleticare la mia attenzione o, per lo meno, niente lo faceva abbastanza.

Dopo aver girato in lungo e in largo l’Est avevo capito di potervi trovare genti simili alle nostre e buona birra, avevo imparato ormai a destreggiarmi con maestria tra le cupole a cipolla ortodosse e i minareti musulmani, nonché ad amare i sapori speziati dell’Oriente che si avvicina.

La vera frontiera non era lì, semmai ancor più a Oriente. Nel mio girovagare per la Terra di Mezzo mi era arrivata l’illuminazione. Ebbi la sensazione per la prima volta di essere realmente sulla faccia opposta della Terra, dall’altra parte del mondo. Avevo varcato la frontiera.

Nel dilemma sul ripartire verso Oriente prevalse una scelta di rimbalzo, violentissima, che finì per spedirmi dritto dritto verso Ovest, di fatto nel continente americano.

Mi era balzato alla mente un nome: Groenlandia. Tempo prima avevo letto delle cose su questa terra lontana, sconosciuta e desolata. Ero intento alle mie solite ricerche di terre estreme, quando mi venne da chiedermi: ma esisterà un modo di arrivare fin lassù?

Tutto ciò che avevo annotato è che è una terra di ghiacci perenni, circondata da cortine di iceberg. Che solo lungo le coste meridionali ci sono minuscoli insediamenti di inuit e che di fatto non esistono strade o collegamenti terrestri. So hard, pensai, e così lo catalogai nella mia mente. Di fatto non sapevo nulla sulla Groenlandia, ma ora mi era presa voglia di andarci.

All’ultimo momento avevo fatto un giro di chiamate, qualche email. Avevo infilato lo stretto necessario in uno zaino, e qualche ora dopo filavo dritto verso Copenaghen.

Quella sarebbe stata la mia base verso l’ignoto e il mio ultimo contatto con la civiltà. Ancora non sapevo come si pronunciasse Narsarsuaq, ma il momento era arrivato: l’Est della Groenlandia appariva scintillante di bianco fuori dal finestrino del Boeing, segnando un contrasto netto con l’azzurro del mare.

Capitolo I
INLANDSIS

I ventosi e gelidi fiordi dell’Est si incuneano verso l’entroterra per poche centinaia di metri, lasciando immediatamente spazio ai ghiacci della Calotta Polare Artica, l’Inlandsis.

Lo spettacolo è surreale. La terra si copre di rughe, che altro non sono che crepacci, i fiumi scorrono sul ghiaccio e sembrano strade blu elettrico. Sembra di volare su un deserto, ci sono le dune, ci sono le montagne, mi sembra perfino di scorgere le piste. Un deserto tutto bianco cristallino.

Sorvolando l’Inlandsis, la Calotta Polare Artica

Guardo fuori dal finestrino e per un attimo credo di essere abbagliato. Stiamo sorvolando il bianco puro. Due soli colori dominanti, il blu del cielo ed il bianco, e quella perbacco è terra non sono nuvole!

L’aereo è pieno di persone ipnotizzate accalcate verso i finestrini, sembriamo tanti bambini con la bocca spalancata e gli occhi pieni di meraviglia.

Il comandante avvisa che è cominciato l’avvicinamento all’aeroporto di Narsarsuaq, e tutti si mettono comodi per l’atterraggio. Nel frattempo fuori compaiono delle nubi che si fanno sempre più fitte.

Le buchiamo scendendo e ci troviamo galleggianti tra due strati di nuvole, uno sopra di noi, uno molto più in basso. Passano minuti e sembra che la serie di virate stia descrivendo un girotondo attorno a un punto.

Uno dei fiordi nel Sud della Groenlandia

La conferma arriva quando il comandante ci avvisa che a causa delle nuvole troppo basse è impossibile atterrare, ci prospetta quindi due soluzioni: la prima prevede di aspettare in volo che il tempo migliori e successivamente tentare l’atterraggio, la seconda prevede di atterrare all’aeroporto più vicino, ad un’ora e mezza di volo.

Noi speriamo fortemente in un miglioramento delle condizioni meteorologiche, mentre ci godiamo il dolce planare sui fiordi del Sud.

D’altronde un vecchio adagio groenlandese dice che “il tempo comanda in Groenlandia“, tanto è repentino e imprevedibile nei suoi mutamenti e importante per la vita del popolo, fortemente legata alla pesca. E in effetti se il tempo dice NO, l’unica cosa che puoi fare è aspettare, aspettare, aspettare che prima o poi la situazione migliori.

Sorvolando la zona di Narsarsuaq

Nel nostro caso sembra esserci uno spiraglio, dagli altoparlanti ci avvisano che tenteremo un atterraggio. In fretta e in furia si riprendono le manovre di avvicinamento all’aeroporto. Scendiamo, siamo sufficientemente bassi da credere che la pista sia da qualche parte sotto i nostri piedi anche se lì fuori è difficile perfino riuscire a vedere l’ala dell’aereo.

Stiamo quasi planando senza spinta quando d’improvviso il pilota tira su i motori al massimo e con un gesto di cloche deciso punta il muso dell’aereo in fuga verso il cielo, qualche secondo e siamo di nuovo sopra le nuvole, panico generale e tentativo fallito.

Fermi per rifornimento sulla pista dell’Aeroporto di Kangerlussuaq, nel Nord Ovest della Groenlandia

Puntiamo dritti verso Kangerlussuaq, oltre 700 km a Nord Ovest, poco meno di un’ora e mezza di volo. Sorvoliamo il cuore dell’Inlandsis che ora si mostra in tutta la sua imponenza. Per 700 km non vedremo altro che un Pantone bianco uniforme.

In volo attraverseremo anche il Circolo Polare Artico, visto che l’aeroporto si trova in una delle zone popolate più a Nord della Groenlandia, ben sopra la capitale Nuuk e vicino ad un’altra zona paesaggisticamente molto interessante, quella della Disko Bay, che ha come centro nevralgico Ilulissat.

L’Inlandsis Groenlandese, detta anche Sermersuaq, copre oltre l’80% dell’immensa superficie della Groenlandia. Con i suoi 1,7 milioni di km2 di estensione e con uno spessore di ghiaccio che può superare i 3 km, rappresenta di fatto la calotta del Polo Nord e una delle due calotte del pianeta, l’altra è l’Antartide.

Benvenuti all’Aeroporto Internazionale di Narsarsuaq

L’aeroporto di Kangerlussuaq sembra una fredda e spoglia base militare artica. In giro non c’è nessuno tranne il nostro aereo fermo sulla pista a fare rifornimento di carburante.

Dopo qualche ora, nonostante il bollettino meteo sfavorevole, ripartiamo alla volta di Narsarsuaq per un nuovo tentativo di atterraggio. Qualora anche questo fallisse è previsto di tornare di nuovo a Kangerlussuaq, passare la notte lì e riprovare di nuovo l’indomani.

Questa è la Groenlandia e questo è il suo benvenuto, il suo modo di mettere subito le cose in chiaro. Non è una terra qualunque, e questo non è un viaggio qualunque. Le difficoltà dell’ambiente artico sono reali e, per quanto oggi la tecnologia sia molto diversa rispetto ai tempi di Umberto Nobile, siamo solo dei piccoli uomini su di un fragile thermos volante. La natura ha il comando, supremo e incontrastabile. 

E questa volta la natura è clemente, nel tempo che abbiamo impiegato per raggiungere Narsarsuaq in volo il tempo è migliorato. Anzi, ora sui fiordi del Sud splende un bellissimo sole che fa risaltare di riflessi luccicanti gli iceberg della baia.

Il 737 di Air Greenland sfiora le acque gelide di questo profondo ramo del Mar del Labrador per poi posarsi subito dopo con eleganza sulla scarna pista di cemento dell’aeroporto. 

Pochi minuti e il jet si ferma davanti una minuscola casupola sormontata da una torretta. Sulla torretta la luce di un faro lampeggia intermittente, questo è l’unico aiuto alla navigazione aerea in un aeroporto di altre latitudini.

Ora realizziamo di aver appena assistito ad un atterraggio di altri tempi, senza l’aiuto di radiofari, radar o sistemi automatizzati. All’aeroporto internazionale di Narsarsuaq si atterra e si decolla così, a vista. La scaletta scende sulla pista e il metter piede sul suolo di Groenlandia è pura poesia. 

Mi dirigo verso la porticina di ingresso dell’aeroporto ed entro in quella che di fatto è la sala degli arrivi. C’è un minuscolo nastro dove dopo una paziente e lunga attesa cominciano ad arrivare i bagagli di tutti.

Nel frattempo l’unica guardia di frontiera di tutto l’aeroporto, una graziosa ragazza inuit, si aggira per la sala con un cagnolino al guinzaglio. Sarà sempre lei a controllare i nostri passaporti e a permettermi di avviarmi verso la porticina di uscita, quella che di fatto ora sancisce ufficialmente l’inizio della mia avventura groenlandese. 

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