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Tito Bunker Ark Jugoslavia Konjic

DIARI DI VIAGGIO / BOSNIA ED ERZEGOVINA

Il Bunker di Tito: dentro il segretissimo comando della Jugoslavia

Nascosto tra le montagne dell’Erzegovina giace il più profondo dei segreti della Jugoslavia: un enorme bunker antiatomico pensato per la sopravvivenza di Tito e dell’élite del Paese.

L’autobus da Sarajevo mi lascia in mezzo ad un incrocio alle porte di un paesino dell’Erzegovina settentrionale, chiude la porta a mano e riparte lasciandosi dietro sbuffi di catrame. Praticamente nessuno scende a Konjic, nessuno tranne me.

In effetti il suo nome non dice nulla alla maggior parte delle persone, tuttavia qualcuno lo conosce come una delle mete più belle per fare rafting sulla Neretva, il meraviglioso fiume che attraversa Erzegovina e Dalmazia, famoso anche per la triste battaglia della seconda guerra mondiale tra le forze dell’Asse (Italia in primis) e l’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia comandato da un certo Josip Broz, nome di battaglia: Tito.

Io però non sono qui per fare rafting, ma per seguire le tracce di una storia che riguarda proprio quest’ultimo personaggio: Josip Broz Tito, partigiano, rivoluzionario bolscevico, membro del Partito Comunista dell’Unione Sovietica e della Polizia Segreta Sovietica, fondatore del Partito Comunista di Jugoslavia, presidente nonché dittatore della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia dal 1953 alla sua morte nel 1980.

Qui, tra i monti e le rapide dell’Erzegovina, in questo paesino in apparenza tranquillo, docile e sonnolento, si nasconde quella che è stata una delle strutture militari più strategiche e segrete al mondo: il Bunker Antiatomico di Tito

L’accesso al Bunker dovrebbe trovarsi sulle montagne, nascosto nel perimetro di una vecchia fabbrica. Una immensa base di oltre 6000 metri quadrati nascosta nel cuore di una montagna ad oltre 300 metri di profondità.

Nel frattempo mentre aspetto di incontrare Sanjin, il mio contatto sul posto, ne approfitto per dare un’occhiata in giro. 

Konjic è un bel paesino che porta ancora ben visibili le cicatrici delle guerre, quella mondiale prima e quella di Jugoslavia dopo. Basta allontanarsi di qualche centinaio di metri dal bellissimo ponte ottomano, sulla riva opposta rispetto alla moschea e alle casette del centro storico, per ritrovarsi in una periferia fatta di palazzine basse crivellate di colpi di artiglieria.

Giusto il tempo di una breve passeggiata e salgo sulla macchina di Sanjin, qualche chiacchiera e andiamo dritti fuori paese e poi verso una strada sterrata che fa rotta verso le montagne. La natura qui è veramente bella e rigogliosa, siamo in agosto ma il clima è quasi fresco.

Arriviamo davanti al cancello di quella che sembra essere una fabbrica o una cava, una guardia scambia due parole e poi ci apre il cancello. Proseguiamo lungo una stretta stradina di montagna fermandoci solo davanti ad una anonima casetta bianca a due piani. Mi viene fatto cenno di scendere: siamo arrivati, la casa bianca nasconde l’ingresso del Bunker.

La struttura del Bunker di Tito, nome in codice ARK D-0 (Atomska Ratna Komanda) è stata costruita tra il 1953 e il 1979 per volere di Tito stesso. Si viveva negli anni in cui il pericolo di una guerra atomica era dietro l’angolo, la Guerra Fredda incalzava di giorno in giorno e la stessa sopravvivenza della Jugoslavia poteva essere in pericolo.

Tito diede quindi ordine di costruire un bunker segretissimo in grado di ospitare lui, la sua famiglia e le persone ritenute strategiche per la sicurezza nazionale. L’obiettivo era quello di avere un quartier generale a prova di attacco atomico dove potersi rifugiare e dal quale poter continuare ad esercitare il comando.

La costruzione avvenne in gran segreto, gli operai venivano prelevati di notte, bendati e caricati su camion che prima di arrivare sul luogo eseguivano lunghi percorsi contorti al fine di disorientare completamente i passeggeri. Ognuno lavorava su un piccolo pezzo del progetto cosicché nessuno potesse essere in grado di capire cosa si stesse costruendo.

La fabbrica fungeva da copertura e giustificativo di tutto quel movimento di mezzi e uomini, mentre la casa, così anonima e innocente, nascondeva l’accesso principale al più grande segreto strategico di Jugoslavia.

Dopo aver varcato la pesante porta di acciaio posta a sigillo del bunker, nascosta dietro il garage della casa, si percorrono lunghi e gelidi corridoi che fungono da raccordo tra le varie entrate. Da qui si accede ai nuclei più intimi del Bunker, pensato per essere una base militare perfettamente funzionante ed autonoma.

La posizione del Bunker di Tito non fu scelta in maniera casuale, si da il caso infatti che il villaggio di Konjic si trova perfettamente al centro da tutte le città importanti della Federazione Jugoslava, rapidamente raggiungibile in volo da Belgrado e da Sarajevo, come da Zagabria e da Skopje. Sufficientemente ben servita da installazioni militari e abbastanza remota da non cadere nell’occhio, ma soprattutto forte di possenti difese naturali. 

I progettisti non lasciarono nulla al caso, il Bunker doveva essere autonomo da ogni punto di vista: energetico, idrico e di comunicazione. I primi locali del Bunker, quelli più esterni, sono infatti locali di servizio: magazzini, cucine, mense, infermerie.

Subito dopo ci sono i locali tecnici destinati all’approvvigionamento idrico e al trattamento delle acque, quelle potabili, quelle nere e quelle destinate all’alimentazione degli impianti di riscaldamento e condizionamento.

Una vasca di 170 metri cubi di acqua garantisce le riserve idriche per la vita nel bunker e in caso di emergenza delle pompe sono in grado di attingere e purificare acqua da una sorgente sotterranea inglobata nella struttura. Tutto è progettato per garantire la sopravvivenza di circa 350 persone per 6 mesi.

Gli impianti elettrici sono alimentati da due potenti generatori a gasolio. Nel bunker ogni cosa è progettata doppia, in modo da avere sempre un sistema di backup pronto ad entrare in funzione in caso di guasti. E, come se non bastasse, nel bunker sono presenti delle officine e dei magazzini di pezzi di ricambio pronti per sostituire qualsiasi cosa guasta o malfunzionante. 

Nel blocco 10 enormi serbatoi di carburante assicurano le riserve di combustibile per i generatori di energia elettrica e per il riscaldamento. Questa è una delle aree più a rischio di tutto il bunker, un incendio o una esplosione in questa sala può significare la distruzione dell’intero bunker, per questo i sistemi di sicurezza e di controllo e spegnimento degli incendi sono stati progettati per essere lo stato dell’arte della tecnologia jugoslava.

Altro blocco strategico è il numero 9, dedicato alla filtrazione dell’aria e all’alimentazione dell’impianto di circolazione forzata. Da qui l’aria immessa viene accuratamente filtrata a tal punto da essere praticamente pura, quindi alla giusta umidità e temperatura viene poi convogliata nei sistemi di circolazione che portano ossigeno in ogni angolo del rifugio antiatomico. 

Gran parte dello spazio dei bunker è occupato dai dormitori per lo staff e dai locali di servizio. Tutta la struttura è organizzata a livelli concentrici, in modo da rispettare la gerarchia militare e di importanza.

Le aree più esterne caratterizzate da dormitori spartani per il personale militare, più ci si inoltra verso il cuore del bunker più si attraversano dormitori più confortevoli, a volte veri mini appartamenti, destinati ad alti ufficiali e all’élite. 

Da ogni stanza è possibile comunicare tramite telefono. Il traffico telefonico è gestito da centrali di smistamento interne al bunker e negli appartamenti dell’élite si nasconde anche un posto di ascolto e registrazione delle conversazioni telefoniche.

Un addetto qui era in grado di vedere, tramite l’accensione di una spia, quali telefoni stavano comunicando, così poteva ascoltare la telefonata a caccia di spie, infiltrati e traditori.

Una buona parte del bunker è dedicato ai sistemi di comunicazione, questo sottolinea l’importanza strategica delle telecomunicazioni per la sopravvivenza di una nazione.

Intere aree sono dedicate ad installazioni radio pronte per essere utilizzate dai migliori specialisti, una sala è riservata ad una batteria di telescriventi pronte a trasmettere e ricevere messaggi criptati.

Una volta ricevuti, i messaggi venivano stampati su strisce di carta e trasmesse in una sala adiacente dove un addetto in possesso della matrice del codice segreto era in grado di decriptarli.

Una saletta dell’apparato di radiotrasmissioni è collegata direttamente via cavo con una antenna trasmittente nascosta sulla sommità della montagna. All’antenna è collegato un sistema di trasmissione a onde corte in grado di trasmettere a lunghissime distanze un messaggio pre-registrato. 

In caso di attacco atomico, dopo aver messo in salvo il Presidente Tito, il sistema doveva essere azionato per far sapere a tutto il mondo che il Presidente Tito era vivo e che la Jugoslavia era sopravvissuta.

Tutto lo staff era pronto a dover intervenire anche in conferenze stampa e riunioni plenarie, per questo il bunker era strutturato in modo da avere due sale conferenze identiche, equipaggiate con sistemi audiovisivi e di registrazione.

Il Presidente Tito e il suo staff dal bunker sarebbero stati in grado di comandare qualsiasi azione strategica. Diverse sale sono dedicate alla cartografia e alla pianificazione strategica, una in particolare rappresenta la Sala di Comando di tutto il bunker e quindi di tutta la nazione. 

Il cuore del bunker, la sfera più interna e intima, è l’appartamento privato del Presidente Tito. Dopo una anticamera destinata al ricevimento delle personalità più importanti si accede allo studio di Tito e da lì alla sua camera da letto.

Proseguendo si passa per il bagno e di seguito per la stanza da letto della moglie Jovanka Broz. A completare l’appartamento presidenziale una piccolo soggiorno. Da una uscita rapida di emergenza il Presidente poteva evacuare il bunker e raggiungere la sommità della montagna per essere prelevato da un elicottero.

Il bunker fortunatamente non è mai entrato in funzione, ma è rimasto sempre presidiato da un gruppo di 16 soldati scelti, gli unici a saperne dell’esistenza.

Si narra che Tito non l’ha neanche mai visitato. Dopo la fine della Guerra Fredda fu in parte abbandonato ma mantenuto comunque in buono stato di efficienza fino al crollo della Jugoslavia nei primi anni ’90.

Nel 1992 le autorità di Belgrado ne disposero la distruzione per evitare che potesse cadere in mano ai non serbi, ma gli ufficiali si rifiutarono di eseguire gli ordini. Da allora un plotone dell’Esercito di Bosnia ed Erzegovina è a guardia perenne della struttura, che nel frattempo è stata declassificata dal segreto militare.

COME VISITARE IL BUNKER DI TITO

Il Bunker di Tito oggi può essere visitato agevolmente con questo tour che parte direttamente da Sarajevo. Nel prezzo è inclusa la guida in inglese ed il trasporto da Sarajevo al Bunker andata e ritorno, attraverso una strada panoramica che passa dentro una delle gole più belle della Bosnia. Se vuoi visitare il Bunker di Tito prenotalo subito per essere sicuro di trovare disponibilità!

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